ENZO PELLI - PLOETZLICHER SCHATTEN
Zurigo, Limmat Verlag, 2022
(Nicola Bardola, Lyrik - Revue)
Der Mensch in der Natur taucht oft auf in Pellis Lyrik: Langgedichte über Wanderungen durch das Gebirge, über die Anziehungskraft der Tier- und Pflanzenwelt. Pelli ist auf der Suche nach dem Einklang der Gefühle, wenn er alleine beobachtet. Manchmal verstärken Begegnungen in der Einsamkeit den lyrischen Effekt, so beim Langlaufen: „Der Atem ist eine einzige leichte Musik, / die vom Rhythmus der Schritte skandiert wird. / Ich folge mit dem Auge den Profilen der Gipfel, / der Abhänge.“ Plötzlich aber überholt ihn ein Sportler, der all das nicht sieht, nicht sehen kann. Es geht bei Pelli um Rhythmus, um Harmonie. Ein Jogger bei Ponte Tresa läuft und beobachtet durch das Geäst die Lichtkontraste der Morgensonne über den Bergen. Er muss Atem schöpfen: Bei hohem Puls wäre es besser, kürzer zu treten, aber er läuft weiter. „Bald endet der Waldweg.“
Im Italienischen verstärkt sich der Klang des Beschriebenen: „Siedo da solo nell’ombra del bosco / la natura mi avvolge è così vicina / ma invisibili fischiano intorno / uccelli sconosciuti e di queste / piante mosse da un vento leggero / il nome mi è ignoto.“ Pelli sitzt alleine im Schatten des Waldes. Die Natur, die ihn umgibt ist so nah, aber unsichtbar pfeifen Vögel, deren Namen er nicht kennt, bewegen sich namenlose Pflanzen im Wind. Pelli zeigt sich von seiner witzigen Seite: Einen Benziner in der Ferne kann er in dieser Situation von einem Dieselmotor unterscheiden. Pellis vielleicht eindrücklichsten Gedichte handeln von seinen Eltern. Dabei kreist Pelli oft um Sterben und Tod ...
L'uomo nella natura compare spesso nella poesia di Pelli: lunghe poesie ispirate da passeggiate in montagna, dall'attrazione del mondo animale e vegetale. Osservatore solitario Pelli è alla ricerca dell'armonia dei sentimenti. A volte gli incontri nella solitudine rafforzano l'effetto lirico, come quando pratica lo sci di fondo: "Il respiro è una musica lieve, / scandita dal ritmo del passo. / Inseguo con gli occhi il profilo di creste/ e pendii”. Ad un tratto, però, lo sorpassa un atleta che non vede tutto questo, non può vederlo. Pelli parla di ritmo, di armonia. Nei pressi di Ponte Tresa corre e guarda attraverso i rami i contrasti di luce del sole mattutino sulle montagne. Ha bisogno di riprendere fiato: se ha il polso alto, sarebbe meglio rallentare, ma continua a correre. "Tra poco il sentiero finisce."
In italiano il suono di quanto descritto è amplificato: “Siedo da solo nell'ombra del bosco / la natura mi avvolge è così vicina / ma invisibili fischiano intorno / uccelli sconosciuti e di queste piante / il nome mi è ignoto.” Pelli siede da solo all'ombra nel bosco. La natura intorno è vicina, ma invisibile, fischiano uccelli di cui non conosce i nomi, piante senza nome si muovono nel vento. Pelli mostra un suo lato umoristico: in questa situazione, riesce a distinguere in lontananza un motore a benzina da un motore diesel.
Le poesie forse più impressionanti di Pelli riguardano i suoi genitori. Pelli si attarda spesso attorno al morire e alla morte:
Attraverso la porta
vedo mia madre assopita sul divano
una matita in mano
sui ginocchi la coperta e il cruciverba
abbandonato. Con gli occhi chiusi,
nel suono esagerato del televisore
inutilmente acceso, pare già partita
per il grande viaggio. Il cuore
mi accelera nel petto –
ma lei solleva il capo, scuote
i capelli così bianchi e con affetto
mi guarda. Così ogni giorno
per qualche lungo istante
mia madre sperimenta il vuoto
che la attende.
Anche qui Pelli combatte la gravità dei problemi con un approccio
pragmatico: tra dieci anni, se è ancora vivo, raggiungerà l'età del
padre quando la malattia lo ha portato via. A vent'anni, quello
della madre, che da anni soffriva di problemi cardiaci prima di morire.
“Puoi capire / davanti a queste prospettive / che ogni spreco di tempo
/ mi faccia innervosire.” Quando Pelli legge che è morto qualcuno
nato nel 1948, controlla se hanno avuto un ruolo gli oncologi
o i cardiologi. Pelli contrappone gli ultimi viaggi a quelli
quotidiani. Riflette sulla propria esistenza in movimento: una
stanza d'albergo come un acquario, e al suo interno se stesso
come un pesce. Pelli sogna stazioni ferroviarie straniere,
valigie smarrite e treni in partenza. Viaggiatori che non conosce
lo invitano a salire, ma non ha biglietto né documenti. Deve
andare a cercarli e poi tornare indietro. Quando è finalmente pronto
per viaggiare, i binari sono vuoti. Avrebbe dovuto salire subito.
Con questo il sogno finisce.
Pelli è preoccupato per le occasioni mancate e la vita fugace:
“Si chiamava Moammed Sceab, / morì a Parigi suicida. Scrisse /
di lui Ungaretti ‘Io solo / so ancora che visse’: / sarà ricordato /
per sempre".
E in queste commemorazioni, Pelli ricorda anche parenti e amici, e sua madre - che incollava le fotografie nell'album, annotando con pazienza e devozione nomi e date «per vincere la sorte / per restare con noi / anche dopo la morte».
Offre conforto con i suoi testi. Raccoglie i destini, dà loro permanenza, guarda una donna: da quanta parte / della sua vita sono escluso / altri uomini no. / Ma più tardi mi disse / Scrivi / una riga per me / una sola / riga per me.
Enzo Pelli
IL TEMPO BREVE
Poesie
Lugano, alla Chiara Fonte, 2022
Enzo Pelli
UNA MUSICA LIEVE.
Prefazione di Vincenzo Guarracino.
Book Editore, 2018
Breve addio
Foschia senz’ombra
senza tempo
immobile scorrere d’acqua
il sole una moneta d’argento.
Amore non lasciarmi
diceva allontanandosi
io non mi sono mosso
ero già in qualche altro posto.
Ricordo ancora
la portiera il motore
le gomme sulla ghiaia
e poi nessun rumore.
Laghi altopiani
Davanti agli occhi
picchi lontani
laghi altopiani
voli di corvi
nuvole vento.
Faticoso solitario
turbamento.
Nell’ombra del bosco
Siedo da solo nell’ombra del bosco
la natura mi avvolge è così vicina
ma invisibili fischiano intorno
uccelli sconosciuti e di queste
piante mosse da un vento leggero
il nome mi è ignoto. Senza fatica
distinguo invece il lontano rumore
di un diesel o di un motore
a benzina.
Sull’autopostale
Sull’autopostale a San Grato
salgono ogni i giorno i ragazzi
della scuola speciale
quelli messi non troppo male
che a casa da soli sanno tornare.
Parlano e ridono forte tra loro
con una felicità che non so
immaginare.
Midnight bar 1
Manca poco alla fine di questo
viaggio, ancora tre sere
seduto qui con davanti un bicchiere
o chiuso nella stanza a chiedermi
se la solitudine non sia
diventata una mia
condizione permanente.
Il barman è sorridente,
troppo giovane troppo
esotico per capire, chissà
dove dorme quando lascia
l’albergo cinque stelle, cosa fa
delle sue scarse ore di libertà.
Certo non spreca i soldi
faticati in lunghe giornate,
li manda per moneytransfer
a casa in Bangladesh;
intanto per due gin tonics
gli pago twenty-five $
senza batter ciglio.
Enzo Pelli
MOMENTI IRRIPETUTI
Lugano, alla chiara fonte, 2014
MOMENTI IRRIPETUTI
Dopo il temporale
Scheggia di crolli remoti
la grande roccia rispecchia frammenti
di sole, come finestre lucenti.
Ha steso molli vapori la pioggia
sui boschi e un silenzio nuovo s’installa,
scalfito da vaghi rumori:
l’ultimo tuono, motori,
un fischio una lontana
voce umana.
Sentiero, sassi
Sentiero, sassi
rumore di passi.
Aspetta: fischi
tra le frane, muschi.
Respiro, vento
tempo.
Lago
Specchio identico
appena turbato da un filo di vento.
Rovesciato, appena più opaco
il senso del tempo.
Attesa
Nubi nere
ferme sull’orizzonte.
Altrove
già piove.
Campagna
Omaggio a Guillaume Apollinaire
Scorre il riale. Passa Des feuilles qu’on foule
gialla un’autopostale. Un train qui roule
Tutto ritorna uguale. La vie s’écoule.
Scavatrice gialla
La scavatrice gialla a colpi di dente
solleva sassi e terra senza sforzo
senza rimorso. Stasera dell’orto
non resterà niente.
Treno di notte
Treno di notte lontano rumore
lume leggero nel buio, giallo miraggio
di sonnolento tepore.
Chi aspetterà il passeggero
alla fine del viaggio?
Qualcuno fuori ascolta forse guarda
il treno che passa nel buio, forse ricorda
momenti irripetuti, cose perse,
terre lontane diverse.
Treno di notte, binario, fragore,
chiarore opaco torpore precario.
Dormono i viaggiatori: quelli attesi,
e quelli che si sono arresi.
Disegnano draghi le stelle
Disegnano draghi le stelle,
centauri serpenti; ad oriente
sopra il filo dei monti la cometa
gelida messaggera di sfortuna
mi osserva immobile nel cielo nero
nella notte senza luna.
Solo il frusciare di un’onda mi avverte
che sotto i piedi questo specchio oscuro
non è caos primordiale vuoto siderale
ma il liquido abisso del mare.
Giunto all’estremità del pontile
mi chiedo se muovere
ancora un passo.
PERSONE VICINE E LONTANE
Per l’amico di un tempo
Ritrovi nel grande niente
i frammenti di te fuggiti
le frasi i pensieri smarriti
prima del tempo.
Finalmente in pace
tra gli astri dove tutto tace.
Lontano dal Sahara
Si chiama, credo, shèsh
l’azzurro turbante
che portavi laggiù ad Agadès.
Ma qui non sei più
con la negra testa scoperta
quel superbo tuareg figlio di capotribù.
Per la strada
la gente ti squadra e lo sguardo
distoglierebbe la turista bionda
così innamorata di te
ad Agadès.
Il negoziante e la suonatrice
Lui si domanda perché senza grazia ti metti
proprio davanti al negozio ogni santo
giorno dell’anno e maltratti il charango.
Lì in piedi
anche tu te lo chiedi
e pensi ogni tanto alle Ande.
Sulla riva
Seduta nel sole non parla
con le altre vecchie sole.
Non getta in acqua croste secche,
non vuole tumulti di pesci,
gridi d’uccelli colpi di becco.
Guarda i battelli passare
lisci lontani senza sussulti:
non danno fastidi, rumore
non fanno.
La vecchia signora
Distrattamente trascorre le ore
seduta a inseguire lontani pensieri,
di rado si alza, malvolentieri,
a guardare giù nella strada:
appena ieri, forse ricorda,
dalla stessa finestra si era sporta curiosa
giovane sposa venuta di Francia
negli anni quaranta.
Tra i rumori lì sotto si affretta
la gente - quattro anziani,
stranieri sicuramente,
ridono in piedi appoggiati a un muretto.
Sono lontani, lei non li sente,
ma le tornano in mente
come in una cartolina
le antiche panchine che c’erano prima,
le mamme con gonne a pieghe e carrozzine,
e dietro casa, segreto, il giardino.
Osserva, ormai si fa tardi,
la folla che non la sfiora,
che nella sera dirada lasciandola sola:
intorno svanisce ogni suono, ogni parola
fino al ritorno del nuovo giorno.
La casa delle anziane signorine
Persiana rotta fessura
lama di luce nella stanza scura
fende la polvere gli anni l’assenza.
Della vostra vita senza amorosi affanni
Elvezia Rita Vittoria
non resta qui dentro memoria.
Io solo ogni tanto a voi ripenso
brevi momenti
nessuno altrimenti.
PASSATO PROSSIMO
Sguardo perso
Sguardo di donna un attimo scorto
e subito perso, nascosto
in un abbraccio acerbo e maldestro
dentro un portone. Hai ragione
non tornerà più tutto questo
né tutto il resto: diversa
è la nostra stagione.
Fotografia 1951
Davanti a una vecchia che lava
in ginocchio i panni nel lago,
leva gli occhi ubbidiente al richiamo
e fissa un orizzonte vago. In mano
tengo quello scatto lontano
e quel bambino ignaro, me stesso,
per caso diventato chi sono adesso.
Colpo di vento - 4 novembre 1995
Un colpo di vento oltre i vetri,
mise inatteso a soqquadro le piante
il ciclista si piegò sul manubrio
e spinse più forte: fu quello l’istante
in cui mio padre incontrò la morte.
Quando il luogo si presta, ed il momento,
colgo da allora in una raffica improvvisa
in quel breve violento scompiglio
il ricomporsi indifferente
dell’universale equilibrio.
Vigneto a Pura
Una casa un vigneto
un uomo in grembiule: mio padre.
Tempo passato - mi fermo stupito
sotto lo stesso cielo
a guardare.
Stalla in rovina
Faticose storte pietre tolte
dalle frane ai tempi della fame
per farne perfetti muri squadrati:
nei prati erosi dai rovi
brillano come nuovi. Abbaglio
del sole di luglio.
Neve lontana
Neve lontana, pioggia
sulle vetrate.
Torna il passato
a sferzate.
SOLO UNA NUBE CHE PASSA
Lugano, alla chiara fonte, 2017
Alla fine dell’inverno
Con sguardo lento abbraccia
valli montagne e le quattro cascine
disperse al confine del bosco.
Ascolta immobile nella scarsa neve:
portato dal vento lieve
gli giunge il canto dei diversi uccelli
che celebrano l’inverno in declino.
Lo osservano da vicino
cento invisibili occhi irrequieti,
insetti precoci rettili ricci
martore volpi e forse
il cervo il lupo la lince l’orso.
Mettesse qui radici, come un albero,
potrebbe scorgerli confondersi con loro,
ma si fa buio, s’allunga l’ombra intorno,
finisce il giorno.
Stréga Màgn
Portano ruvidi nomi le montagne
che sbarrano taglienti l’orizzonte:
Strega Màgn Moncrécc Torént Biasàgn.
Le sovrastano a cerchi lenti
gli altissimi rapaci dalle grandi ali:
cavalcano correnti invisibili
perlustrano le rocce nere, precipitano
infallibili su incaute marmotte,
artigliandole con gesti millimetrici.
La sera quando ancora sulle cime
brilla il sole ma in basso la valle si oscura
i predatori terrestri predispongono
astute strategie. Tragedie crudeli
stanotte turberanno i boschi
silenziosi di castagno: non per tutti
la natura è benigna.
Ombra improvvisa
Ombra improvvisa
sul fiume sui sassi.
Esito, sospendo il passo,
levo lo sguardo: solo
una nube che passa.
Vecchio castagno
Niente ferisce
la scorza scabra
resa insensibile
da molte stagioni
troppo asciutte.
Alberi davanti a casa
Guardando volare nel vento
senza rumore le foglie mi accorsi
che nella boscaglia spoglia
non si annidavano mostri:
per scarsa voglia
non ero stato attento non avevo
capito in tempo.
Giornata al mare
Terrazza sul mare, mobile
rumoreggiare di acque grigie e bianche
esteso cielo lontane vele mutevole orizzonte.
Quadro inconsueto per uno sguardo
costretto altrimenti tra ripidi monti.
La mia compagna dorme
Come nel buio di una profonda
tana invernale il respiro leggero
di un piccolo animale ignaro…
per ancora ascoltare
tendo l’orecchio ma tra noi si insinua
il primo chiaro il giorno.
Avresti detto il sole
Ricordo quella luce
che incorniciava i suoi capelli biondi.
Avresti detto il sole ma, ricordo,
pioveva quel giorno.
Una canzone degli anni ’60
Non più udita chissà da quanto
canta alla radio una voce dice
Io che amo solo te. Molto felice
negli anni sessanta non era
neppure molto amato, allora
quella stretta in gola
perché
Vecchia canzone
Vecchia canzone vaga
illusione leggero
dolore struggente.
Per tutte le strade non percorse
per una vita che forse
poteva essere e non è stata
per una vita andata
diversamente.
In un’altra città
Sembra familiare il centro
di questa città io certo l’ho già
percorso ma oggi tira vento
nei suoi incroci perpendicolari
tutti uguali mi son perso
tra sconosciuti nuovi
rumori segnali. Mi stanno
guardando non so
forse benevoli forse no
fanno le stesse mie cose
in luoghi uguali ai nostri
ma non mi capiscono non
sono come noi
tutto in loro è diverso.
Foglio quasi bianco
Segni lasciati a mezzo
frammenti di frasi
parole, non proprio
parole, quasi.
La strada che porta in centro
La strada che ogni giorno
mi porta in centro è percorsa
da file di ragazze penso
studentesse le guardo
una dietro l’altra inseguirsi
senza sfiorarsi
camminare senza alzare
gli occhi dal cellulare
guardo la loro
sgraziata svestita
sensualità mi chiedo come
saranno fra qualche anno
cosa faranno.
Il ragazzo della Mini rossa
Guida non guarda la strada non bada
che più non piove, digita
col pollice sinistro
mi ha lasciato sono triste.
Dai cento amici connessi
(molti mai visti) si aspetta, a torto,
qualche conforto – una risposta almeno.
Brilla l’asfalto bagnato riflette
un lontano arcobaleno.
Happy hour
Entra con aria sicura nel bar
condiscendente accenna dall’alto
un saluto ai presenti.
Cercano le donne
il suo sguardo azzurro.
Raddrizzano la schiena
gli uomini subito inquieti.
Osserva indifferente
la cameriera serba.
Bar sport
Pancia in fuori
piedi in dentro
gambe corte
doppio mento
orecchie al vento:
avesse avuto
un fisico atletico
fosse stato
meno brutto
con le donne
avrebbe fatto di tutto.
Lamento rap
Rumore di motori odore di benzina
auto in fila ferme folla che cammina
tristezza stanchezza monotonia
non ce l’ho fatta me ne sono andato
via
Avevo voglia di partire senza niente
di stare solo lontano dalla gente
sono andato in alto tra la neve tra i sassi
a sentire il mio respiro ascoltare i miei
passi
Dovrei tornare ma non so se lei mi attende
se si è scocciata e ha levato le tende
e mi ha mollato, e se n’è andata altrove
adesso dove sarà dove sarà adesso
dove
Kamikaze
Quali ombre quali demòni
frequentano la notte oscura
del ragazzo che domani
lascerà casa con allacciata
alla cintura
una granata.
Camion nel bosco
Per non scomparire nel profondo
buio, sperduto ai confini del mondo,
si aggrappa l’autista all’esiguo imbuto
di luce dei fari.
Senza vederlo intuisce l’inquieto
groviglio di piante, l’intrico
nero di rami che sfreccia su ogni lato,
nasconde il cielo stellato e la luna
sopra la strada.
Ascolta il monotono andare
del motore, e come lampi bianchi
lo trafiggono obliqui pensieri,
le ore d’attesa ieri in dogana
la casa ancora lontana
il volto di una puttana le merci
da scaricare il mattino
sua nonna a Varsavia e lui bambino.
Mentre procede prudente
irrompe furiosa dalla boscaglia
una grande bestia un cervo si scaglia
sull’autocarro - che all’istante
lo abbatte con un colpo sordo. Scende
l’uomo da bordo contempla
il corpo potente steso sull’asfalto
le magnifiche inutili corna
quando ad un tratto appare dall’ombra
un altro cervo e dieci e ancora cento,
lenti gli scorrono intorno se ne vanno
indifferenti. In coda al branco,
un maschio soltanto si ferma si volta
verso il compagno morto, alza lo sguardo
sull’uomo del camion. Lo stanno fissando
quegli occhi selvaggi nella notte
e si ricorderanno.
Attraverso la porta
Attraverso la porta
vedo mia madre assopita sul divano
una matita in mano
sui ginocchi la coperta e il cruciverba
abbandonato. Con gli occhi chiusi,
nel suono esagerato del televisore
inutilmente acceso, pare già partita
per il grande viaggio. Il cuore
mi accelera nel petto –
ma lei solleva il capo, scuote
i capelli così bianchi e con affetto
mi guarda. Così ogni giorno
per qualche lungo istante
mia madre sperimenta il vuoto
che la attende.
Mia madre
Ha l’aria lontana spesso si addormenta
ma quando mi ascolta più attenta
brillano gli occhi e la bocca sorride.
Di tutti i suoi anni ritrova allora
sparsi frammenti e sorprendenti
ragionamenti. Batte il suo cuore ancora
faticosamente.
Se campo dieci anni
Tra dieci anni raggiungo, se campo,
l’età di mio padre quando
se l’è portato via
la malattia.
Fra venti quella di mia madre
che molto prima di morire
soffriva di amnesie
e di cardiopatie.
Puoi capire
davanti a queste prospettive
che ogni spreco di tempo
mi faccia innervosire.
Sul giornale
Quando leggo che è morto
qualcuno del quarantotto
controllo se i parenti
ringraziano dolenti
l’oncologo o il cardiologo.
Flocky
Le tiene proprio compagnia
quel cane bianco
dalla bocca storta.
Spesso lo prende in braccio di slancio
e lo stringe con forza.
Ogni mattina allaccia al guinzaglio
i sacchetti per le piccole cacche
e con Flocky se ne va
a scoprire la città.
Alle gite della terza età
hanno proibito
gli animali - allora
come quando il suo Pietro c’era ancora
con Flocky dritto sul sedile dietro
qualche volta si azzarda a pilotare
la Panda e lo porta al mare
(al ristorante il cameriere
senza farsi vedere
gli dà qualche boccone
e anche il padrone
della pensione vuole
un gran bene ai cani).
L’ha convocata il dottore
domani per gli esami
di attitudine alla guida,
ha già fatto un incidente
e di notte confonde le distanze:
speriamo non le tolga
la patente.
Alla stazione
Quella signora
che ieri sera
alla stazione
mi ha chiamato per nome
chi era? Con attenzione
l’ho guardata
non mi veniva
in mente
niente.
E’ vero, le donne
sono più attente
non si dimenticano
delle persone
ma forse ha preso anche me
quel male sornione
e come uno scalpello
mi scava dall’interno
il cervello. Tornano
strane disordinate
memorie lontane
di quando ero bambino
di quando sapevo il latino
di quella ragazza
sotto il piumino -
un istante un minuto un’ora
che vivono ancora.
Si è rovesciato il tempo
veloce domani,
ieri lento,
pochi sogni, rare cose
a far battere il cuore.
Non ascoltare
Non ascoltare
i profeti millenari.
Vogliono rendere
quadrata la terra.
Il testimone
Sull’uomo in grigio sulla mano tesa
che porge la Torre di Guardia
nessuno sguardo si posa, gira al largo
la gente, entra esce dalle botteghe,
scivola via senza vedere niente.
Lui si nasconde in un angolo d’ombra
come per non farsi notare:
appoggia gli occhi indifferente
su un punto qualunque di là della strada.
Sarebbe sorpreso se un passante
gli facesse domande: quale
risposta potrebbe offrire, quale luce?
E io mi chiedo, quale distante nume
ha preso a testimone proprio lui?
Camera d’albergo
Sospeso nel vuoto
al piano trenta.
Gente luci fuori
silenzio dentro.
Acquario uomo-pesce
solitario.
Lungo il fiume
Quattro passi lungo il fiume
incrocio persone
di cui non ricordo il nome
profili in controluce nel sole
scorre l’acqua senza rumore
azzurro sentimento
di smarrimento.
Treni in partenza
Da qualche tempo sogna
stazioni straniere valigie smarrite
treni che fra un istante saranno partiti.
Sconosciuti viaggiatori diretti lontano
lo invitano a salire con insistenti
cenni di mano - ma non ha il biglietto
gli mancano importanti documenti
deve trovarli tornare indietro
affrontare la folla ostile ripercorrere
i lunghi corridoi e le grandi sale e le scale.
Tempo scaduto, binario deserto
doveva prenderlo quel treno
l’ha perso.
Pian Scairolo
Davanti alla finestra appena oltre il torrente
caricano gli autocarri mucchi
di sabbia ghiaia sassi
per costruire altrove
strade case
nuove
Le rive di questo esiguo ruscello
piuttosto misero e sporco sono percorse
da giovani donne a passo di corsa
sfiorano atletiche il lato nascosto
di centri commerciali
magazzini
officine
Brutto posto ma di mattina presto
con uno scarso sole e un po’ di brina
acquista una sua poesia una sua
dimessa segretezza
da retrobottega
D’estate poi quando d’improvviso
scoppiano quei temporali quasi tropicali
lo Scairolo si gonfia si trasforma
in un nostrano
Mississippi
E sommerge strade prati: poca
roba però poche ore di ribellione poi
rientra nei suoi argini come
se niente fosse
accaduto.
In bicicletta
Pedalando sull’asfalto osservo i coperchi
di ghisa dei tombini, decorati in rilievo
con croci svizzere e nomi di fonderie
da casa al centro ne ho contati più di cento
ognuno ha scosso con forza
la mia bicicletta da corsa.
Nascoste dalla superficie stradale
in modo apparentemente casuale
sono tra loro collegati, questi varchi,
da infiniti cunicoli fitti di tubi fili fibre
che trasportano il fluire denso di veloci
elettroni e lenti disgustosi liquami.
Molto più sotto profonde distanti
dagli astri si annidano negli interstizi terrestri
ostili divinità ctonie pronte a coglierci disattenti
nelle brevi pause del nostro continuo pedalare
per trascinarci giù nelle loro regge
fangose e oscure.
Le solite cose
Cade la pioggia
ritorna il sole
le solite cose
polvere ombre
remoti miraggi
fuggente nulla
faticose parole
fuori rumore
dentro silenzio.
Scivola un’acqua liscia
Scivola un’acqua liscia
sopra la pietra grigia con onde sottili
silenziosa produce
spirali ventagli di luce da cui niente
traspare della tenacia lenta
che quella roccia intaglia
sui tempi dei pianeti e della luna.
Quando non resterà qui traccia alcuna
di te, di me, delle nostre
umane fortune, delle nostre
vite che credevamo infinite
ancora quest’acqua fine
faticherà dentro il suo corso antico
appena un poco più vicina
al centro della terra.